putin mattei

 

È un caso? È pura sfortuna? No.

Il drammatico aumento dei prezzi dell'energia che sta colpendo l'Italia rappresenta l'epilogo di una lunga serie di scelte politiche ed economiche che hanno profondamente trasformato il mercato energetico europeo. Per comprendere la reale portata della crisi attuale è necessario andare oltre le spiegazioni semplicistiche e analizzare le radici profonde di questa situazione. L'aumento vertiginoso dei prezzi dell'energia che stiamo vivendo non è certo il risultato di un "ricatto russo", come spesso viene semplicisticamente presentato, ma la conseguenza diretta di scelte politiche nazionali ed europee che hanno sottovalutato l'importanza della stabilità nelle forniture energetiche.  La situazione attuale richiede un ripensamento profondo della strategia energetica nazionale ed europea. È necessario recuperare quella visione di lungo periodo che aveva caratterizzato le politiche energetiche del passato, bilanciando gli interessi geopolitici con le necessità di approvvigionamento sicuro e stabile.

Dal “Take or Pay” al Mercato Spot.

Ma andiamo per gradi, e facciamo un passo indietro. Il sistema di approvvigionamento energetico europeo si è storicamente basato su un modello di contratti a lungo termine noti come "take or pay", con prezzi ancorati all'andamento del petrolio. Questi accordi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non furono imposti dai fornitori russi ma furono espressamente richiesti dai paesi consumatori europei dopo la crisi petrolifera degli anni '70. Il meccanismo era semplice ma efficace: il fornitore garantiva la materia prima per periodi che potevano durare 15-30 anni, mentre l'acquirente si impegnava ad acquistarne una quantità minima garantita a un prezzo tendenzialmente stabile. Questo sistema offriva vantaggi significativi per entrambe le parti: i paesi consumatori ottenevano stabilità nei prezzi e sicurezza nelle forniture, mentre i produttori potevano pianificare investimenti a lungo termine nelle costose infrastrutture necessarie per l'estrazione e il trasporto, come i gasdotti che spesso si estendono per migliaia di chilometri. Nel caso specifico dei rapporti con l'Unione Sovietica prima e la Russia poi, questo sistema ha garantito forniture stabili anche durante i periodi più tesi della Guerra Fredda.

La situazione ha iniziato a cambiare drasticamente circa un decennio fa, quando l'Unione Europea ha deciso di modificare UNILATERALMENTE il sistema di approvvigionamento, contro ogni buonsenso e ignorando le raccomandazioni russe: gli esperti del settore infatti, inclusi i responsabili di Gazprom, avevano ripetutamente avvertito che il passaggio al mercato spot avrebbe esposto l'Europa a rischi significativi in caso di tensioni geopolitiche o cambiamenti climatici improvvisi. Le pressioni per abbandonare i contratti a lungo termine in favore di un “mercato spot” sono aumentate significativamente dopo la crisi del 2014, con l'obiettivo dichiarato di ridurre la rendita mineraria della Russia e costringerla a restituire la Crimea all’Ucraina. Questa decisione ha rappresentato un cambio di paradigma fondamentale: dal prezzo del gas ancorato al petrolio l’Unione Europea ha preferito un mercato basato sulla domanda e offerta immediata, scimmiottando il modello nordamericano. Tuttavia, questa scelta non ha tenuto conto di una differenza cruciale: mentre gli Stati Uniti hanno raggiunto l'indipendenza energetica grazie al fracking, l'Europa dipende dall'estero per il 60% del suo fabbisogno energetico, con l'Italia che raggiunge addirittura il 75-80%.

 

Mattei si rivolta nella tomba.

A questa follia si aggiunge l’esempio emblematico delle scelte politiche in merito alle infrastrutture, che hanno indebolito ulteriormente la posizione italiana, come la vicenda del South Stream: questo ambizioso progetto infrastrutturale, nato come joint venture tra Gazprom ed ENI, avrebbe dovuto garantire all'Italia una posizione strategica come hub energetico per l'Europa meridionale, con una capacità di trasporto di 63 miliardi di metri cubi annui. Il progetto, avviato durante il governo Prodi con il sostegno dell'allora ministro Bersani (e non dal putiniano Berlusconi, come si potrebbe immaginare nel Belpaese), rappresentava un'opportunità unica per diversificare le rotte di approvvigionamento e rafforzare la sicurezza energetica italiana. Tuttavia, le pressioni americane hanno portato alla sua cancellazione nel 2014, con la Bulgaria che ha stracciato contratti già firmati dopo la visita di tre senatori statunitensi, e la Grecia che abbandona dopo aver subito addirittura episodi di spionaggio internazionale, culminati a volte in sparatorie tra americani e russi. Questa decisione ha privato l'Italia di un'infrastruttura che oggi avrebbe potuto contribuire significativamente a stabilizzare i prezzi.

Ma il declino della posizione italiana nel panorama energetico internazionale non si limita al caso South Stream. La destabilizzazione della Libia, un fornitore storicamente importante per l'Italia, ha ulteriormente indebolito la nostra posizione. Da un paese che importava quantità significative di gas, siamo passati a ricevere "una manciata" di metri cubi, come conseguenza diretta dell'intervento militare NATO del 2011. Se aggiungiamo l’incrinamento dei rapporti col Governo egiziano a causa della misteriosa morte del “ricercatore inglese” Regeni, il quadro internazionale non preserva nulla di buono al nostro Paese. La situazione attuale rappresenta un drammatico contrasto con la visione strategica che aveva caratterizzato la politica energetica italiana nei decenni precedenti. Figure come Enrico Mattei avevano costruito un sistema di approvvigionamento diversificato e resiliente, investendo in infrastrutture che ancora oggi costituiscono l'ossatura del sistema energetico nazionale, come i 30.000 chilometri di gasdotti che attraversano il paese: siamo il secondo Paese nel mondo, dopo la Federazione Russa, ad avere una ramificazione così capillare, e ciò ci avvantaggerebbe anche nel caso un domani si decidesse di sfruttare al meglio l’idrogeno come alternativa ecosostenibile.

 

Per un'etica civile e consumeristica.

La crisi energetica attuale deve servire come campanello d'allarme per una profonda riflessione collettiva. Come cittadini e consumatori, abbiamo il dovere morale e civico di informarci approfonditamente sulle questioni energetiche che influenzano così drammaticamente la nostra vita quotidiana. Non possiamo più permetterci il lusso di delegare decisioni cruciali a una classe dirigente che ha dimostrato di essere troppo spesso subalterna a interessi esterni al paese. È tempo di esigere, attraverso il nostro ruolo di elettori consapevoli, una nuova generazione di leader politici che non si limitano a citare retoricamente figure come Enrico Mattei, ma che ne emulino concretamente la visione strategica e il coraggio nelle scelte. L'Italia, con la sua posizione geografica strategica e la sua lunga tradizione di diplomazia energetica, ha tutte le carte in regola per giocare un ruolo chiave nel promuovere un nuovo approccio alle relazioni energetiche internazionali. Ma questo potrà avvenire solo se, come popolo, sapremo distinguere tra chi propone soluzioni semplicistiche e chi è invece capace di elaborare strategie complesse e lungimiranti.

È necessario un ritorno a una politica energetica autonoma e coraggiosa, non supina ai dictat atlantici, che sappia bilanciare gli interessi nazionali con le sfide globali, garantendo forniture stabili e prezzi sostenibili, come l'eroe Mattei ci ha insegnato durante la sua presidenza all'Eni, prima di essere ammazzato da chi oggi ci impone la linea. Solo attraverso una partecipazione attiva e informata dei cittadini alla politica del paese sarà possibile costruire quel futuro di sicurezza e prosperità che la nostra nazione merita. Il prezzo dell'energia non è solo una questione economica, ma il riflesso diretto della qualità della nostra democrazia e della capacità di autodeterminazione del nostro paese.